venerdì 1 agosto 2014

L'UNITA' AL TEMPO DELLA CRISI

"Hanno ucciso l'Unità"; così era titolato il numero del 30 luglio 2014 del quotidiano, fondato da Antonio Gramsci nel 1924.
Tuttavia, tale "quotidianicidio" non è stavolta attribuibile ad un regime, un dittatore o qualche sorta di babau, bensì al soggetto che possedeva la testata, la Nuova iniziativa editoriale s.p.a.; è stata l'assemblea dei soci della Nie a decretare, legittimamente e democraticamente, la fine della pubblicazione del noto giornale.
Più che un "giorno di lutto per la democrazia", come è stato definito nel comunicato del Comitato di redazione, il 30 luglio 2014 si rivela invece essere un comune giorno d'affari, scandito dalle leggi della proprietà e del libero mercato: i proprietari, nei limiti della legge, hanno fatto quello che volevano delle proprie cose. Punto.
Il dispiacere causato dalla chiusura di una testata storica è doveroso e rispettabile, soprattutto se dovuto a mere questioni economiche, e in questa sede non si vuole certamente mortificare tale rammarico, tutt'altro. Preme però evidenziare il vero problema venuto alla luce, attinente non tanto allo stato della democrazia, quanto a quello dell'ideologia della sinistra italiana.

 
La democrazia e la libertà di stampa, che della prima è un corollario, non vengono certamente meno qualora un giornale, per quanto autorevole, chiuda i battenti.
Il problema è un altro: l'Unità, storicamente, si è sempre proposto come giornale della sinistra italiana, al punto che la "Festa dell'Unità" è stata per anni uno degli appuntamenti principali, nell'agenda di politici, tesserati, militanti e simpatizzanti di sinistra(la prima risale al 2 settembre 1945, ad opera di esuli che avevano tratto spunto dalla festa de L'Humanité). La sua crisi è l'ennesimo segno della crisi ideologica della sinistra nostrana: non esiste più un popolo di sinistra da tenere informato, quindi il giornale perde la sua funzione.
La destra italiana, sia estrema che moderata, ha goduto di un certo successo grazie all'opera di Silvio Berlusconi, che ha raccolto larghi consensi a scapito dell'ideologia propria della destra, di tipo liberale, sopravvissuta in alcune riserve più o meno protette, quali le forze radicali, certi ambienti politici di formazione cattolica e, in una certa misura, nel socialismo craxiano; la destra ha pertanto conseguito il successo elettorale, sacrificando la propria integrità ideologica.
La sinistra italiana, affamata di consenso, ha cercato di seguire la medesima pista, non appena i riflettori della politica hanno cominciato ad illuminare di meno Berlusconi; ha avuto così inizio la svolta renziana: figure dirigenziali anagraficamente giovani, alla guida di amministrazioni sostanzialmente improduttive quanto le precedenti (e perciò italicamente affidabili: Come va? Sempre male, grazie.), una generazione-madre che (ormai) ha ben poco da dare alla odierna generazione-figlia, la quale ha le idee chiare su quali siano i propri diritti, ma non altrettanto chiare circa i propri doveri, e che non trova di meglio da fare che disfarsi della generazione-madre, mandarla alla rottamazione (Renzi docet); anzi, metterla in liquidazione, come è avvenuto per la società editrice de l'Unità.

 

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