giovedì 7 febbraio 2013

Dottor Quentin e Mister Tarantino: l’evoluzione in “Django unchained”

La nuova opera di Quentin Tarantino, “Django Unchained”, è un chiaro omaggio al genere spaghetti-western, in particolare al film “Django” di Sergio Corbucci, datato 1966 e con protagonista Franco Nero, il quale compare nel film di Tarantino in un gradevole cameo.
Mentre il primo Django era un reduce di guerra desideroso di vendicare la moglie assassinata, il personaggio proposto da Tarantino è uno schiavo (interpretato da Jamie Foxx) che, una volta liberato da un bounty killer tedesco e da questi iniziato alla professione del cacciatore di taglie, si mette alla ricerca della moglie, venduta a nuovi e ignoti proprietari.

Oltre che per la qualità innegabile, il film è da segnalare per l’evoluzione evidente di Tarantino, che sembra vivere una maturazione artistica non irrilevante.







L’attenzione ossessiva per la citazione cede il posto al gusto per il dettaglio, tendenza più da regista consumato che da cinefilo accanito. Si nota inoltre, dopo l’interesse mostrato in precedenti film per la cultura asiatica, un desiderio di atmosfere europee, rappresentato dalla presenza nel cast di Christoph Waltz il quale, dopo avere offerto al pubblico un’interpretazione da oscar nei panni del colonnello Hans Landa in “Bastardi senza gloria”, veste i panni del bounty killer tedesco King Schultz, alleato del protagonista della nuova opera di Tarantino.
Degno di nota è inoltre il parziale abbandono di scene granguignolesche, alle quali Tarantino aveva abituato il suo pubblico, indugiando su di esse con insistenza; la violenza passa da oggetto di morboso compiacimento a elemento al servizio della narrazione, e della denuncia. Laddove il vecchio Tarantino avrebbe puntato la cinepresa senza pudori, il nuovo Tarantino preferisce lasciare un velo di indeterminatezza, quasi a voler cogliere di sorpresa lo spettatore fedele che dà ormai per scontato lo stile del regista: splendida la scena della morte di Big Daddy, dove a seguito del colpo fatale la prima cosa che viene inquadrata è il cavallo con la criniera insanguinata, dal quale il proprietario terriero è caduto, senza mostrare invece il cadavere.
La fotografia, che già in passato vedeva un Tarantino attento nella sua cura, è splendida; l’intero film ne è la prova, anche se certe scene quali quelle in cui Django gira per la piantagione di Big Daddy meritano una menzione speciale, per la loro capacità di dare allo spettatore la sensazione di trovarsi dentro la storia.
Chi deciderà di vedere il film, in breve, troverà un Tarantino leggermente cambiato, in meglio; ma ritroverà la caratteristica che ha permesso al regista di farsi amare dal pubblico, ovvero il saper fare un cinema che piace, dalla parte dello spettatore. Il segreto del successo di Tarantino sta infatti, probabilmente, nel saper fare film pensando da spettatore e da appassionato di cinema, e non tanto da tecnico o artista, non correndo così il rischio di perdere, come talvolta può capitare ad altri, il contatto con i gusti del pubblico.

Buona visione.

 

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